Ieri mi sono trovata coinvolta in un evento che non mi fa onore, ma che voglio riferire ugualmente perché voglio mettere in guardia chiunque mi legga qui, I fatti, per cominciare. Alle 14.20 ricevo una telefonata dalla sede centrale della mia banca, sita a Roma. Un signore gentile mi comunica che hanno notato un ingresso anomalo al mio conto e che hanno deciso di intervenire.
Di che si tratta?
Il signore mi comunica che avrei inviato una grossa somma a un conto Revolut, già attenzionato. Cosa sia Revolut l’avrei scoperto in seguito, qui l’accento è su “attenzionato”. Per bloccare la trasferta devo immediatamente trasmettere certi dati sensibili a quel signore gentile gentile che ogni due per tre sottolinea di agire con la massima prudenza e professionalità nel mio interesse. Insomma, per evitare ogni conseguenza sgradito devo passargli i codici del mio conto. Me li chiede uno alla volta, con la massima cortesia. Inclusi quelli segreti che in banca mi hanno raccomandato di non dare mai a nessuno.
Ma certo, ripete a macchinetta il signore gentile gentile, lei non sta parlando con un estraneo, è in linea con la sua banca e dunque può fidarsi. Ci sono in ballo i miei soldi, d’accordo, ma lui è pronto ad aiutarmi e mette in gioco per intero la sua professionalità e una ammirevole dedizione ai miei interessi.
Fidarsi è bene, ma essere prudenti è meglio. Nella confusione del momento, decido comunque di indossare rapidamente una giacca e di andare diretta alla mia banca. E lo comunico pure al signore gentile che però non demorde e continua l’interrogatorio Sempre per il mio bene. Spinta da chissà quale spirito ipnotizzatore finisco per fornirgli i codici richiesti, ma intanto sono arrivata alla banca, allerto il mio consulente, cassiere e direttore sono subito al mio fianco. Le banche non fanno interventi del genere al telefono, se mai ti chiamano in sede e discutono del problema. La telefonata si interrompe, ma il signore gentile richiama prontamente. Mi dicono di non rispondere. Poi, davanti all’insistenza, il direttore stesso prende la comunicazione. «Dica pure, sono il figlio». Il signore gentile chiede di parlare con me. Il direttore lo tranquillizza: «Dica pure, mia madre è qui accanto a me». Il signore gentile tronca lacomunicazione.
Intanto il conto viene controllato, sembra che non sia stato prelevato niente. Ancora. A quel punto la banca blocca tutto, il mio bancomat finisce tagliato e fuori uso. Pronti si cambia tutto. Vengo giustamente sgridata dagli impiegati della filiale dove ho conto da almeno 65 anni, ma poi anche lodata perché mi sono presentata in persona a chiedere aiuto. (Lo stesso succede con figli e amici intimi, ma insomma, i rimproveri sono meritati). Sembra che l’avventura sia finita bene ma per un pelo.
Mi sento stupida per avere accettato gli argomenti di quello sconosciuto così tanto gentile che chiamava proprio dal centralino della sede centrale della mia banca, ma vengo consolata con l’argomentazione che i truffatori possono far figurare un numero X anche se parlano da un altro magari nemmeno in Italia.
Perché ve ne parlo? Perché storie così finiscono qualche volta sui giornali, ma ognuno di noi dubita che possano coinvolgere proprio lui o lei. E invece capita. E anche se solitamente sei attenta (io stesso non ho risposta a una decisa di messaggi ricevuti sul cell del tipo “Ciao mamma, ecco il mio nuovo numero xxxx. Chiamami appena puoi”). Beh può scattare il momento in cui quel signore gentile è così insistente e disarmante e convincente che finisci per cedere. Questione di poco (ma la telefonata è durata più di venti minuti, sicché quel tizio si è preso il suo tempo) e alla fine finisci inguaiata irrimediabilmente. A me pare che sia andata bene. Ma domani, chissà… Voi, amici miei, state in campana.