Ho cominciato a preparare una lezione sui “fratelli” per il mio corso di sociologia della famiglia, e naturalmente ho ripreso in mano le fiabe che possono illustrare il tema. La scelta non manca, da Pollicino a Haensel e Gretel, da Fratellino e sorellina ai Dodici fratelli — tanto per restare sul più ovvio. Tra le fiabe di formazione e miseria, fiabe di salvezza cristiana mascherata, fiabe che trasmettono paura per insegnare ai bambini il conforto di una famiglia quanto meno ordinata, I Dodici fratelli hanno un tocco speciale. I fratelli Grimm, che li hanno inseriti nella loro raccolta, li hanno etichettati tra le Fiabe misteriose, forse proprio a significare i loro significati nascosti. La storia, in breve: un re e una regina vivono felici con i loro dodici figlioli (il numero 12 è caro alla tradizione cristiana e non solo). Quando la regina resta nuovamente incinta, il re minaccia: se la nostra tredicesima creatura sarà una bambina, farò uccidere i nostri dodici figli perché sia la femmina a ereditare tutte le nostre ricchezze. Qui c’è il primo mistero: suona davvero strano che un re voglia disfarsi di dodici figli maschi per lasciare tutto ciò che possiede alla figliola. È l’esatto contrario di ciò che è accaduto milioni di volte nel corso dei secoli. Sottintende una valutazione superlativa della donna che fa decisamente a pugni con le miserie della storia. Ma qui siamo nella faba e dunque il re fa di testa sua. Insomma, lui prepara le dodici bare e la regina allerta i figlioli esortandoli ad andare nella foresta fino al parto. Torneranno al palazzo solo se il tredicesimo figlio sarà maschio. Grazie a questo sotterfugio, alla nascita della sorellina il terribile verdetto del re non potrà essere eseguito. Ma la storia prosegue. La principessina, giunta ai dieci anni, vede nel bucato dodici camicie troppo piccole per appartenere al re padre. Chiede spiegazioni e scopre quanto è accaduto ai suoi poveri fratelli. E qui ci sono altri misteri: che motivo c’era di mettere nel bucato le camicie dei dodici fratelli, dieci anni dopo la loro scomparsa? E che motivo aveva la principessa per frequentare le lavanderie reali? Vabbè, ma questa è una favola. Proseguiamo: la principessa decide di mollare tutto e va in cerca dei fratelli. È una principessa testarda e coraggiosa, anche se ha solo dieci anni, dunque la storia funziona. E funziona talmente bene che la piccoletta arriva subito nella foresta nella quali si sono nascosti i suoi fratelli (evidentemente il re non voleva farli uccidere per davvero, perché altrimenti i suoi servi li avrebbe scoperti portando a termine la tragica condanna). Insomma, i ragazzi si ritrovano e si intendono bene per diversi anni. Undici principi vanno a caccia tutti i giorni per procurare cibo a sufficienza al piccolo clan, mentre l’ultimo – Beniamino, un nome che è una garanzia – resta a casa per cucinare la cacciagione assieme alla sorella. Tutto bene, dicevamo, finché un giorno la principessa trova in un campo magico dodici gigli e li recide per offrirne uno a testa ai fratelli. Ma appena raccoglie i gigli, i dodici fratelli si trasformano in corvi. Potranno tornare alla forma umana solo se la sorella resterà muta per sette anni. Una impresa, annotano i Grimm, praticamente impossibile. E dagli con la favole delle donne chiacchierone — come se gli uomini fossero sempre esempio di silenziosa dignità. Ma andiamo avanti: di lì a poco un re entra nella foresta magica, scova la principessa che si è rifugiata sulla cima di un grande albero per non parlare con chicchessia e si innamora pazzamente della povera fanciulla che sta appollaiata su un ramo e occupa il tempo filando. Nuova parentesi: accidenti, se il papà amava tanto la figlioletta, com’è che in tutti quegli anni non l’ha trovata lui? Comunque procediamo. La principessa è bellissima – siamo in una favola dunque non fa troppa fatica a essere bella – e il re decide di sposarla. Si fanno le nozze, passano gli anni e la madre del re comincia a seminare zizzania dicendo al figlio che non ha sposato una vera principessa, ma una straccione. La povera ragazza non può parlare e dunque non arriva a difendersi. La suocera ha dunque buon gioco: tanto dice e tanto fa che il re decide di uccidere la moglie nel modo consueto per le streghe, facendola bruciare nel cortile del castello. Si allestisce la catasta di legna, si accende il fuoco e la principessa sta per morire quando, finalmente, scattano i sette anni di silenzio … e la fiaba scioglie i suoi nodi. Va tutto bene. Anche in altre fiabe una saggia ragazza salva un uomo/ragazzo da grossi guai. In alcune storie cristiane la ragazza simboleggia l’intervento salvifico della Madonna. Ma in questo caso continuo a non raccapezzarmi sul punto di partenza, e cioè sul motivo per cui il re vuole uccidere i dodici figli per amore della figlia. E sul fatto che il vegliardo esce di scena con la fuga della principessa, senza azzardare il minimo tentativo di ritrovarla. Se riabbracciasse anche i figli maschi, chiedendo loro scusa, il lieto fine — che in una faba non deve mancare (quasi) mai — sarebbe davvero completo.