Ho cominciato a leggere Le Tigri di Mompracem con un nipotino che sa leggere quasi benissimo, ma adora farsi coccolare così. Ero fiduciosa e quasi divertita all’idea di riprendere in mani uno dei libri che mi erano tanto piaciuti da ragazzina, e ho avuto un risveglio più che brusco.Già dalle prime righe: ”La notte del 20 dicembre 1849 un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati, situata nel mare della Malesia, a poche centinaia di miglia dalle coste occidentali del Borneo.
Per il cielo, spinte da un vento irresistibile, correvano come cavalli sbrigliato e mescolandosi confusamente, nere masse di vapori, le quali, di quando in quando, lasciavano cadere sulle cupe foresta dell’isola furiosi acquazzoni; sul mare, pure sollevato dal vento, s’urtavano disordinatamente e s’infrangevano furiosamente enormi ondate, confondendo i loro muggiti con gli scoppi ora brevi e secchi e ora interminabili delle folgori”.
Il resto è anche più drammaticamente intenso. I passi e i ruggiti della tigre Sandokan, il suo strapparsi i capelli, i sibili dei traditori, le languide occhiate della giovinetta lady destinata a diventare la Perla di Labuan, il vezzo di chiamare “il por Williams” o quant’altro e “la lady Marianna”… qualche virgola a separare il soggetto dal verbo, la ferocia di certe interiezioni e via discorrendo — si giustificano solo con le grandi corse e le notti insonni cui Salgari doveva sottoporsi per tenere fede a contratti editoriali capestro. Eppure l’effetto straniante rimane, soprattutto nei dialoghi interiori che i personaggi (e soprattutto Sandokan) affrontano per svelare i loro stati d’animo. Es. 1 – La Tigre di Mompracem contempla l’eventualità di fuggire dalla casa del lord inglese che lo ospita, lasciando il suo giovane amore, lady Marianna. «E se frapponessi fra me e quella donna divina la foresta, poi il mare, poi dell’odio?…» riprese egli. «Dell’odio! E potrei io odiare costei? Eppure bisogna che io fugga, che ritorni alla mia Mompracem, fra i miei tigrotti…».
Es 2 (dopo poche righe): «No!… no!» esclamò egli con accento disperato. «Non posso, non posso!… Che si inabissi Mompracem, che si uccidano i miei tigrotti, che si disperda la mia potenza, io rimango!…» Mannaggia – che violenza distruttiva il nostro eroe dal sangue di ghiaccio. Ma c’è molto altro.
Es. 3 – Salgari non si ferma solo ai monologhi di Sandokan, qui tira in ballo un altri personaggio ben deciso a catturare la Tigre della Malesia per riscuotere un generoso premio di 50 sterline (solo? commenta il nipote, 9 anni ma già avveduto): «Per tutti i tuoni dell’universo!» esclamò. «Non sarà mica scomparso sotto terra!… In qualche luogo deve essere nascosto e vivaio non sfuggirà la seconda volta al mio moschetto. So bene che ho da fare con la Tigre della Malesia, ma John Gibbis non ha paura. Se questo dannato cavallo non si fosse impennato, a quest’ora quel pirataccio non sarebbe più vivo».
Che tenerezza fa quel pirataccio tirato in ballo con tanta rabbia. E come ci batteva il cuore quando leggevamo queste parole troppi anni fa. E adesso…! Vivaddio… la Tigre ruggisce ancora ma siamo noi pronti a seguirla con brividi e tremori e l’ansia dei pure?