Una delle tante bestie nere di critici e persone di buone volontà è la fioritura di editori che applicano varie forme di pagamento per mettere in circolazione autori esordienti o comunque inediti. Il buon senso avversa queste pratiche per il semplice fatto che in linea di massima rischiano di mettere in circolazione, per soddisfare la vanità dei molti appassionati di scrittura, contributi inutili e in genere (anche se non necessariamente) del tutto inutili. È auspicabile che un editore non si presti al narcisismo degli scriventi e che anzi, puntando sulla qualità di un certo autore, gli assicuri un certo compenso per il lavoro svolto e si dia daffare per promuoverlo. Un esempio nostalgico viene dal buon vecchio editore tedesco Fischer che al giovane Thomas Mann offriva lauti anticipi per consentirgli di terminare l’opera in corso. Certo, erano altri tempi, e altri scrittori. E Thomas Mann (il Mago) si era premunito di suo sposando una ragazza della migliore – e più ricca – società. Oggi, nella quasi totalità dei casi, le cose stanno diversamente. L’elenco degli editori a pagamento è lungo e articolato. Loredana Lipperini ne fa un elenco articolato nel suo blog LIPPERATURA (leggere per credere). Farsi pagare è il mezzo più semplice per stampare evitando le trappole del rischio. È anche la via più certa per togliere il brivido del mestiere, la grinta, la voglia di volare, la fantasia per imporsi. È uno degli ingredienti dell’appiattimento generale di cui soffriamo. Chi ha il suo salario garantito non ha alcun motivo per andare a caccia di pubblico percorrendo strade nuove possibilmente pericolose. E neppure si preoccupa di mettere in giro banalità. Certo, pagare per una pubblicazione non è tutto il male. Ma dà un bel contributo alla presente crisi dell’editoria.