C’è che a furia di sentire che l’Is avanza, che la sicurezza delle nostre città non può essere garantita, che basta poco per mandarci gambe all’aria, si vive con un po’ di batticuore e al minimo segnale scatta l’allarme. Ieri, per esempio, nella trafficata via milanese dove mi è capitato di vivere – chissà poi perché non si va al mare o sui monti o chissà dove – c’è stato un viavai di carabinieri, ambulanze, pompieri, traffico bloccato, contorno di curiosi e quant’altro da far pensare al peggio. Nel vociare confuso e nell’intrico dei nervosismi arriva un grande boato da scuotere i vetri proprio davanti agli ingressi della metropolitana. Uno pensa a Bruxelles e gli viene male, ovvio. Quel dannato boato scatena tachicardie a non finire. Ci affacciamo, c’è un fumo che dà i brividi, ma non si vedono altri segni che possano giustificare i brividi. Dopo un po’, con grande calma, il traffico riprende a fluire, i mezzi di servizio spariscono, l’allarme cessa ma la curiosità rimane. Insomma, si va a chiedere.
Spiegazione degli eventi di cui sopra: un signore dovendosi recare in un negozio qui di fronte, ha avuto la felice idea di portare con sé – in un sacco nero – un po’ di abiti da destinare in beneficenza. E avendo trovato bloccato il cassonetto giallo della Caritas, ha semplicemente deposto il suo sacco accanto al cassonetto. Qualcuno si è insospettito e ha dato l’allarme (credo bene: a furia di sentire gli opinionisti in tv vengono certe paranoie che poi magari è pure bene che vengano, visti i tempi). Insomma: spuntano gli esperti. Perplessi. Comunque prendono la situazione in mano con molta fermezza, facendo esplodere il sacco nero. Meglio prevenire che piangere troppo tardi, vero? Ed ecco lo scoppio: gran giro di abiti, con il timore che lì dentro ci siano scheletri degni di Bones, ma fortunatamente i timori sono infondati. I nodi si sciolgono, le paure svaniscono, si torna alla normalità. Tanto rumore per nulla, alla fine. C’è da ridere, che è la soluzione migliore, ma forse bisognerebbe arrabbiarsi. Mi sembra di essere tornata ai remoti tempi della mia infanzia, quando le maestre ci mettevano in guardia dal toccare oggetti abbandonati, penne, palloni, trenini che potevano essere stati lanciati da aerei nemici ed essere pieni di esplosivi da mozzare una mano o strappare un occhio. Nulla di nuovo sotto il sole – questo è sicuro – scopriamo che il vecchio copione resta valido. Gran peccato, no?
Paure di oggi
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Mia sorella carissima,
la paranoia è sempre una grande compagna. Nonostante questo si vive. Giro parecchio per la città, utilizzo molto la MM, perché per me è il mezzo più comodo (scale mobili, ascensori…) e ogni tanto mi passa per la testa che potrebbe succedere qualcosa. Ma devo dire che è una specie di esorcismo questo pensiero. Seduta, mi guardo intorno e cerco di capire quale potrebbe essere un obiettivo sensibile, chi potrebbe portare che cosa. Ma penso sempre che non varrebbe la pena. L’unico simulacro di attentato che ho sfiorato è stato quello ai danni della caserma Santa Barbara vicino a casa mia, gran dispiego di mezzi e servizi per una bomba artigianale che ha danneggiato solo l’attentatore e creato grande spavento e caos per molte ore nella zona. Si trattava comunque di un ingegnere immigrato, senza lavoro, con numerosa prole e moglie, che voleva attirare l’attenzione sulla sua tragica situazione. Devo dire che ci è riuscito: lui senza più un occhio e qualche dito delle mani in meno, si è ritrovato in una cella a san Vittore e la moglie coi figli finalmente ha ricevuto una abitazione decorosa e aiuto dai servizi sociali per sé e per i figli. Matti, esaltati e fanatici più o meno organizzati ce ne sono e anche mitomani, devo dire però che in Italia, tra mafiosi di vario genere, terroristi e attentatori è stata costituita nel tempo una rete altamente specializzata tra tutti i corpi di sicurezza (PS, CC…) il resto riposa in grembo al destino