Mentre seguiamo con ansia i drammatici sviluppi della guerra in Ucraina e le sue conseguenze in potenza ancora più tragiche, per impreviste coincidenze ho avuto alcuni incontri in diverse biblioteche sulla scrittrice cult francese Colette. Fin qui nulla di strano. Dopo tutto a Colette ho dedicata per la collana Femminile singolare inventata da Sara Rattaro il romanzo biografico Un sogno audace (Morellini editore) e certe sovrapposizioni (Colette/guerra) capitano quando i programmi sono fissati da mesi e un conflitto scoppia all’improvviso e ci travolge tutti. Del resto, per paradosso, sfidando i bollettini di guerra la vita continua con i ritmi di sempre. Tanto che durante i weekend le notizie dal fronte arrivano intervallati dalle ultime sul calcio, sul caro benzina, sui morti ammazzati. Anche se poi il pensiero torna ai 70 parlamentari che contestano il discorso di Zelensky al nostro Parlamento e chiedono lo stesso spazio per Putin, senza fare distinzione fra Aggressore e Aggredito, fra quelli che bombardano i civili e la gente che muore mentre fa la fila per avere un po’ di pane.
Ricordo bene la mia infanzia in Ungheria. L’Europa dell’est colorata di rosso, il colore dell’URSS, liberato dal demonio nazista con il sangue dei martiri, le poesie che noi bambini recitavamo in onore di Stalin. Lo zio Sam ridotto ai margini. Ma allora, settantacinque anni dopo la fine della seconda guerra mondiale siamo forse condannati a ripetere la storia che abbiamo messo troppo rapidamente da parte? E dove ci porterà il nuovo assetto del nostro continente? Paradossi su paradossi.
Si ragiona sulla gran massa dei profughi che potrebbe avere effetti micidiali come l’esplosione di un’atomica. O invece, su un paese come l’Italia avviato al declino demografico, questi nuovi arrivati potrebbero avere un impatto positivo. E speriamo per tutti che sia così, che il destino cambi le carte in tavola e giochi a nostro favore. Intanto torna la primavera. La natura che fin qui abbiamo bistratta e ci prepariamo a bistrattare anche di più, ci offre il suo calore e i suoi fiori. Con una generosità che – paradossalmente – ci stupisce.