A Bologna per vedere, tra l’altro, la mostra Noi, Non erano solo canzonette allestita a palazzo Belloni, l’antica dimora dei banchieri degli Stuart, i reali di Scozia. Un’accattivante rivisitazione di 25 anni di storia italiana dal 1957 al 1982 attraverso immagini, parole e 100 canzoni. A partire dalle braccia spalancate di Domenica Modugno vincitore di Sanremo 1958 con Nel blu dipinto di blu, alle braccia spalancate di Paolo Rossi per la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio 1982. E sono proprio le braccia spalancate di Modugno a riportare ricordi antichi. I primi balli con il mio allora fidanzato proprio sulle note di Volare, e l’ultima intervista con Modugno, ricoverato dopo un malore in volo dal quale non si sarebbe ripreso più. Seguono altri ricordi davanti al robusto televisore in mostra, così simile alla scatola magica che mio padre aveva fortunosamente conquistato e che ci portava in casa mezzo condominio per vedere tutti insieme Mike Bongiorno e un programma che si chiamava- se non ricordo male – Arrivi e partenze e trasmetteva interviste senza troppe sorprese con attori e cantanti in partenza dall’Italia o in arrivo dal Belpaese.
Arrivata con una vaga curiosità, sono uscita dalla mostra conquistata. Merito anche della guida – colta e appassionata – del curatore Giampaolo Brusini, nonché dei ricordi che le immagini riportano, ricreando con la forza della musica un passato relativamente vicino, ma già distante. Con le sue ingenuità, i codici Rai che imponevano rigore al riparo da possibili allusioni e contatto fisico, il miracolo economico, il sogno della vacanza al mare per abbronzarsi. E poi la protesta che traspare anche da una canzone in apparenza semplice come Quarantaquattro gatti, vincitrice dello Zecchino d’oro 1968. Con quei gattini “senza padrone” che si riuniscono per “precisare la situazione” e rivendicano una vita dignitosa e appagante. Non l’ho capita così, cantando con i nipotini la sigla del cartone animato che riporta in auge un testo buffo e innocuo. Solo in apparenza, scopro stupore. Mentre passo alle ben più cupe immagini di piazza Fontana, scattate un mezzogiorno che già pareva mezzanotte. Tante ombre intervallate da sprazzi di luce, drammi e utopie. Un modo originale ed efficace per rivedere emozioni rimosse, ma non cancellate. Perché certi ricordi rimangono nel cuore ed esplodono con l’occasione propizia. Come durante questa mostra bolognese che si può visitare fino al 12 aprile 2020. E merita davvero. Dice Brusini che a Torino, dove la mostra ha esordito, molti ragazzi la visitavano con le scuole, ma poi tornavano a vederla con i genitori. Una voglia di tornare – e approfondire – che apprezzo e condivido.