Wilbur Smith è morto in Sud Africa, il paese natale che amava e dove si rifugiava per diversi mesi all’anno. Se n’è andato a 88 anni, silenziosamente, dopo una mattinata di lettura e scrittura accanto alla moglie Mokhiniso, che si dice addolorata e in qualche modo sorpresa. Intanto i giornali ricordano la sua vita avventurosa e l’amore per moglie, la quarta, Niso per l’appunto, un ingegnere minerario incontrato un quarto di secolo fa a Londra, in una libreria di Londra. Lei stava meditato l’acquisto di un libro di Cussler, lui l’ha dissuasa promuovendo un libro dei suoi. Da lì l’invito a cena in un ristorante. Lei, ignorando chi lui fosse, voleva pagare il conto perché – mi ha spiegato – nel mio paese gli scrittori fanno la fame e io non volevo pesare su di lui. Un piccolo preludio buffo per un matrimonio che lui non ha smesso mai di decantare, dicendo che Niso aveva messo ordine nella sua vita, portafogli in dote una gioia infinita. Da vent’anni ormai ha dedicato a lei tutti i suoi libri, sostenendo che a lei doveva la sua fortuna. Notevole, considerando i 140 milioni di libri venduti – per un terzo in Italia – prima per i tipi di Longanesi e poi di HarperCollins.
Per quasi vent’anni ci siamo visti all’uscita di ogni nuovo libro a Milano, ma poi anche a Londra, dove sono andata a intervistarlo per il settimanale “Chi”. Non oso dire che fossimo amici, anche se c’era della cordialità tra noi, chissà quanto dovuta alla naturale relazione tra scrittore e giornalista che va comunque tenuto da conto. Ho comunque un bel ricordo dei nostri incontri e della penna che mi ha generosamente regalato (era un omaggio del suo albergo di superlusso). E sono rimasta incantata dalla sua villetta londinese carica di ricordi. I trofei di caccia, i cappelli che lui collezionava, i ninnoli di lei, le fotografie sparse un po’ dovunque, la quiete della strada sorvegliata per felice casualità, diceva sorridendo lui, da una stazione di polizia. Alto, un po’ stile John Wayne, cortese, felice di esibire i propri successi, prodigo di consigli. Orgoglioso quando spingeva la moglie a posare con l’ultima pelliccia o un nuovo gioiello. Arguto quando svelava che uno scrive bene solo di cose che conosce a fondo. Fiero quando ricordava la Fondazione Wilbur e Niso Smith creata nel 2015 per aiutare i giovani scrittori d’avventura, un genere letterario in come, soffocato da gialli e noir. Dinamico quando, riferendosi alle tante storie che aveva ancora da raccontare, e alle modeste forze a sua disposizione, giustificava l’introduzione di giovani autori nella preparazione dei nuovi romanzi. Mai in segreto però, sempre con i nomi dei collaboratori in copertina, ovviamente in caratteri più piccoli e sotto il suo. Ai collaboratori toccavano la fatica della prima stesura e le ricerche, a lui il ripasso con le puntualizzazioni del caso per trasformare un romanzo qualsiasi in un Wilbur Smith doc. Ma anche – e soprattutto – paziente quando si trattava di spiegarsi al giornalista o di posare per il fotografo. A Londra io sono andata una prima volta con Pigi Cipelli e poi con Stefanek Massé.
E ora, chi saprà raccontare le sue storiecon quel ritmo e quella complicità con i lettori?