Fu una grande storia d’amore quella tra Vati e Mutti, i genitori del protagonista de La guerra di H. Incontrandoli mi ero limitata a osservare l’istintiva concordia, l’affettuosa partecipazione, la gioia di condividere certe emozioni, per esempio facendo musica insieme. Lui al violoncello, lei al pianoforte. Anni dopo la loro morte, una lettera custodita gelosamente, ha svelato il desiderio, la passione.
Era una di quelle lettere ti faceva sentire indiscreta quando la leggevi intrufolandoti nel privato di due persone che si erano trovate per istinto, che avevano resistito al dolore per un tempo infinito, in una separazione crudele e immotivata a loro sentire, e che si erano ritrovate per miracolo dopo dieci anni di prigionia sovietica imposti a lui, quando nessuno credeva più che sarebbe successo. Solo lei, Mutti, aveva continuato a ripetere che Vati sarebbe tornato dalla prigionia, che non poteva essere morto anche se non riusciva a dare notizie e altri sostenevano di averlo visto morire chissà dove. Non poteva essere morto, perché lei non aveva provato lo strazio ultimo della sua fine. E dunque doveva essere vivo, chissà dove, chissà in mezzo a quali sofferenze. Ma sarebbe tornato di sicuro.
In quei dieci anni di vedovanza bianca Mutti aveva tenuto la barra dritta, pilotando i suoi cinque ragazzi in anni a dir poco tormentosi. Era riuscita a tenerli fuori dai guai – merito loro, diceva, e del loro buon carattere – usando in dosi uguali amore e severità. Quando uno dei cinque sgarrava, lei si faceva portare un certo sgabello – era alta circa 1 metro e 53, molto più piccola dei figli – e schiaffeggiava il colpevole con convinzione, lasciandogli l’impronta delle cinque dita sul volto. Perché ricordasse che quel certo atteggiamento era inaccettabile e irripetibile. “Non facciamo vergognare vostro padre” diceva., perfetta nel ruolo di madre educatrice, ligia alle tradizioni della famiglia.
Cos’ voleva mostrarsi e così la vedevamo. Ma la lettera, quella lettera lunga e dettagliata, ci costrinse a cambiare prospettiva mostrandola come donna vera e innamorata. Anzi, amante formidabile. Ogni sua parola – scritta con attenzione meticolosa – portava il respiro del suo desiderio, della nostalgia di momenti felici, del rimpianto di non averli apprezzati abbastanza, perché si tende a dare i momenti felici per scontati. Anche se non è così. E proprio per questo la vita va vissuta fino in fondo, amata e abbracciata nel bene e nel male, vissuta con convinzione e chiarezza. E con la gratitudine di avere sperimentato l’amore. Quello vero. Per un attimo o per tanti anni, com’era scritto nel destino al quale nessuno poteva sfuggire.
E se non è un grande messaggio d’amore e un sincero auguro di un san Valentino diverso, non so dove potrei trovarne uno migliore.