Amo leggere, ho una inclinazione naturale per i libri, mia madre diceva che le costavo meno in vestiario che per gli acquisti in libreria. Ma ora, d’un tratto, la vecchia passione rischia di travolgermi.
Una macchia d’umidità tra il mio letto e una libreria alta fino al soffitto annuncia un prossimo intervento d’urgenza. A giorni i muratori saggeranno muro e parquet e vedremo lo stato delle cose. Intanto, la libreria va svuotata. Sembrava piccola ma dopo tutto non è così minuscola. E questo vuol dire che in una casa ridicolmente occupata da montagne di carta stampata, devo trovare posto per i circa 1500 libri extra e non sarà facile. Qualcosa si può deporre sui tavoli e pavimenti, ma non basterà, lo si vede a occhio. Bisognerà dunque passare alla decimazione anche violenta. Con quali criteri?
Prendo i mano le mie preziose collezioni: Djuna Barnes (intoccabile, ovviamente); tasto Manuel Vazquez Montalban, nome di punta una decina di anni fa. E poi Irvine Welsh e Celine e magari pure un po’ di Rol, il famoso veggente che stupì i grandi del secolo scorso con le sue previsioni. E poi i primi libretti della BUR, i poveri tascabili da 60 lire o multipli, che ho acquistato da ragazzina rinunciando a prendere un tram o una merenda. Ci sono naturalmente i libri che ho messo sugli scaffali senza riprenderli mai in mano. Quelli forse potrebbero uscire senza traumi?
E per quale destinazione? Ci sarà ancora qualcuno – un figlio un amico, una biblioteca, un commerciante in libri di seconda mano – disposto a ospitare questi poveri sfrattati?
In fondo però che peccato lasciarli andare. Le risoluzioni della vigilia vacillano rapidamente. Comincio a scendere a patti. Dopo tutto, prima o poi i muratori termineranno il loro lavoro, la libreria che ora va dovrà bene tornare al suo pasto e di conseguenza i libri ritroveranno la loro dimora naturale. Ecco, sì, farò così. Il tarlo dei libri non mi molla così facilmente. Ho giusto consegnato una sporta in biblioteca e ho eliminato un po’ di minutaglia per una ventina di centimetri il resto lo sistemerò come posso. In attesa di sviluppi. E seguendo la filosofia di Rossella O’Hara. Perché domani è un altro giorno. O no?