Cammino con un’amica nella città sofferente tra negozi con le serrande abbassate e poche felici eccezioni, e d’un trattola mia partner di marci mi comunica che indosso uno dei venti tipi di mascherine (questa è marcata 2163) il cui potere filtrante è in forte discussione. Potrebbe essere il 10% del dichiarato o anche meno.
Impressionata entro nella farmacia più vicina e chiedo una mascherina nuova precisando che indosso un modello del tutto insufficiente acquistato in un supermercato (per discrezione non scrivo qui quale, ma è il super nel quale compero il mio sushi dunque lo conosco bene). La farmacista mi guarda con un sorriso di compassione e conferma che lei pure vende le stesse mascherine e che ignora dubbi e polemiche. La mia amica s’impunta e ripesca da internet (W i cellulari) gli articoli che denunciano il problema. La farmacista gira sui tacchi e ci abbandona alle elucubrazioni per le quali non ha tempo né pazienza.
Ora io dico: va bene la campagna vaccinale e faccio mio pure il lamento sulle 184 mila dosi di Johnson e Johnson bloccate dopo i moniti degli Stati Uniti. Ma se poi mi lasci in commercio le mascherine non filtranti, non è che ci metti nei guai?
Non sarebbe meglio distruggere i lotti compromessi? Capisco che sono moltissimi (oltre 500 milioni di FFP2 più oltre 200 milioni di FFP3). Vero, qualcuno ci perderebbe qualche migliaio di euro (a parte che magari si potrebbe rifare sui maneggioni colpevoli) ma resta pure vero che farmacie e supermercati hanno perso meno di tanti altri esercizi in questi lunghi periodi di lockdown. Dunque, che si mettano a mano sulla coscienza. O è pretendere troppo nonostante la pandemia?