Non so quanti potrà interessare, ma io – da ungherese doc – sono molto colpita dal ritorno della censura in Ungheria, trent’anni dopo la caduta del Muro. Ed è la prima volta che accade in Europa. In buona sostanza: una sola agenzia statale distribuirà in forma gratuita le notizie; non si potrà riproporre le informazioni di Amnesty Internationale e Human Rights Watch; nessuno spiraglio su proteste antigovernative in Russia; piena approvazione all’antieuropeismo di Trump, Boris Johnson, Erdogan (suona forse strano per un paese che fa parte della Ue, ma si giustifica nel nome della democrazia e della libertà di pensiero). In più, i report che arrivano dall’Ungheria saranno sottoposti a controllo centrale e ovviamente non si ragionerà più sulle vittorie delle opposizioni al premier Orbán e neanche una parola di critica sulla Chiesa e in particolare sui preti pedofili. Infine, silenzio anche sui rigurgiti dell’antisemitismo in Ungheria, Polonia e Ucraina, centrali tradizionali dell’odio razzista.
E così il piatto è servito, nel sacro nome del sovranismo pionieristico che riscuote l’ammirazione di una parte importante della leadership politica made in Italy.
Annoto le novità con un po’ di vergogna e molta preoccupazione mentre mancano 50 giorni all’uscita del mio nuovo romanzo LA RAGAZZA CON IL CAPPOTTO ROSSO (Piemme), nel quale l’Ungheria ha un ruolo importante. Non racconto in realtà l’Ungheria di Orbán, ma ciò che accadde nel paese prima e durante la guerra, incluso il periodo della Shoah. Devo ricordarmi di questo stato di cose la prossima volta che qualche generoso lettore mi chiederà se intendo pubblicare il nuovo libro in Ungheria. Per me ok – ma i miei (ex) compatrioti potrebbero avere qualche problema…