La cosa che più mi piace è che La guerra di H racconta la Storia attraverso le storie di una famiglia simile a milioni di altre. Mi piace quel bambino innamorato degli aerei che vede volare sul mare e si chiede perché ogni pomeriggio la spiaggia si riservata alle loro esercitazioni senza supporre che il governo stia preparando la guerra. E mi piace accostare i drammatici eventi bellici alla vita quotidiana della gente. Come quando la madre stende la biancheria e scoppia a piangere quando la vicina le grida: «L’America è entrata in guerra». E ancora
la lunga prigionia del padre che lascia moglie e figli in condizioni più che misere, ma con la ferma decisione di sopravvivere senza venire meno ai principi dell’onestà e della buona educazione. E poi la lunga attesa della liberazione di quest’uomo che più volte viene dato per morto. Un’attesa che la famiglia affronta tra speranza e disperazione. Mi piace, soprattutto, la riflessione sulla guerra che porta strazio, lutti, fame e strascichi di odio a vincitori e sconfitti.
Ho rincorso il romanzo per renderlo scorrevole, ritmato, scintillante. Solo in un secondo tempo mi sono concentrata sugli aspetti più palesemente politici che portarono, a quanto si vede, al tentato genocidio della Germania. Un progetto orribile quanto le stragi commesse dal Reich a danno degli ebrei e dei diversi. Progetto fortunatamente abbandonato prima della piena attuazione che avrebbe portato allo sterminio di 25 milioni di vite su una popolazione di 60 milioni. Alla fine il bilancio fu meno tragico (si parla “solo” di 7 milioni di morti e 13 milioni di profughi, lasciando però intendere che il computo dei morti potrebbe essere più alto). Questo aspetto è sfuggito a molti, giustamente concentrati sulla Shoah e gli altri eccidi dei tedeschi. Per vendetta, revanscismo, rabbia si è preferito ignorare le morte e il dolore, la paura e l’umiliazione dei tedeschi. Dopo tutto erano stati loro a cominciare quel gioco mortale, sembra giusto che fossero loro a pagare.
Di conseguenza, le sofferenze inflitte alla Germania divisa, distrutta, depredata, furono classificate come giuste punizioni o come compensazioni per danni di guerra. Così le si è pensate, giustificando a priori lo strazio di vendette atroci inflitte non solo ai veri colpevoli, ma anche a perfetti innocenti, bambini e donne fuori dai giochi o a uomini spinti in guerra senza ombra di fanatismo o rimasti al lavoro. Furono giudicati tutti ugualmente responsabili e tutti subirono punizioni che confondevano giustizia e vendetta.
Questi temi di riflessione sono il doveroso complemento di un romanzo che resta comunque al centro di tutto. Un romanzo che parla di amore e amicizia, intrighi, tradimenti e resilienza accanto a enigmi storici, potenti come i migliori thriller di questi anni. È il romanzo che conta e che affido ai lettori con qualche palpitazione.