Zadie Smith (scrittrice anglo-giamaicana di fama internazionale) e Jessie Burton, esordiente con Il miniaturista (Bompiani), un bel romanzo già venduto in 35 paesi, hanno ammesso, senza alcun bisogno di tortura, che scrivere un romanzo può diventare una croce, che a volte passano anni dal primo tentativo al risultato finale, e che per altro non si può mai dare per scontato un buon risultato. Poche notizie essenziali, ma un sollievo incredibile. Erano anni che speravo di sentire cose del genere, ascoltando le confessioni di talentuosi scrittori italiani che mi raccontavano di avere scritto i loro (per altro notevoli) libri in pochi mesi (2 o 3) sotto la spinta di una feroce ispirazione, di avere trovato i loro agenti guardando l’elenco del telefono e di essere approdati dai loro editori in volata, per acciuffare il successo a piene mani ecc. ecc. Buon per loro, capisco e mi inchino. Ma quanto più ematico il rapporto con Zadie e Jessie, umili e quasi grate davanti ai risultati ottenuti a costo di notevoli fatiche. Per Zadie, la scrittura di un romanzo resta uno psicodramma pieno di incertezze e buchi neri. Per Jessie, che ha completato il suo romanzo storico ambientato nella Amsterdam di fine 600 dopo 17 (diciassette) versioni, la scrittura resta un triplo salto carpiato in un mare in tempesta. All’ottava versione ha finalmente trovato un agente che l’ha guidata attraverso altre nove versioni prima di mettere la parola fine. Chapeau, signore. Continuate a guardare con rispetto le pagine che avete in animo di scrivere. E non smettete, vi prego, di cercare sempre il meglio per voi stesse e per i vostri molti lettori.