È stato bello partecipare alla serata che Cristina Di Canio ha dedicato ai Mondiali del libro (grazie Cristina!) con Hammerstein di Hans Magnus Enzensberger (Einaudi) un libro che ho molto amato e che mi ha fatto capire molte cose. Non era forse il cavallo migliore per questo tipo di gara (o io non sono riuscita a presentarlo come meritava), ma sono ugualmente felice di averlo scelto. Riassumo: il generale Kurt von Hammerstein-Equord, diventato capo di stato maggiore dell’esercito tedesco nel 1930, fu un brillante stratega e un uomo di straordinaria intelligenza afflitto da un colpevole disinteresse per i giochi della politica. Non a caso capì troppo tardi quale pericolo rappresentasse per il futuro della Germania e del mondo un uomo come Adolf Hitler. Il suo tentativo per sbarrare al Fuehrer la via del potere in extremis era dunque condannato al fallimento in partenza.
Enzensberger ripropone il controverso personaggio attingendo a una impressionante varietà di fonti: testimonianze di figli e amici, documenti d’archivio in gran parte inediti, biografie esistenti, ricostruzioni d’epoca, foto ma anche riflessioni personali espresse anche sotto forma di interviste immaginarie con i protagonisti del libro. Il suo Hammerstein o dell’ostinazione ci fa scoprire un sarcastico conservatore che non era abbastanza nazionalista per i colleghi di destra, pareva troppo a sinistra per i molti rapporti che ebbe negli anni Venti con l’Armata Rossa dopo che la pace di Versailles impose ai tedeschi di smantellare il loro esercito (ordine al quale la Germania sfuggì mandando carristi e piloti d’aereo a esercitarsi in Russia). Era ritenuto uno degli ufficiali tedeschi più capaci e competenti, eppure commise un formidabile l’errore di valutazione nei confronti di Hitler. Lo considerò infatti per oltre un decennio un tipo confusionario e prolisso e gli rimase lontano, senza nascondere il suo fastidio davanti all’antisemitismo rampante. L’antisemitismo era, per altro, moneta corrente anche nell’esercito, quasi un vezzo secondo Enzensberger, che ricorda una ironica battuta del suo generale: “Speriamo di liberarci presto di Hitler, così potrò nuovamente maledire gli ebrei”. Nel 1931, dice Enzensberger, ci si poteva ancora permettere duna dichiarazione del genere. Per altro, l’antisemitismo di Hammerstein era davvero di facciata e non gli impedì di accettare e proteggere i legami dei suoi figli (e i matrimoni delle figlie) con giovani ebrei.
Hammerstein continuò a non vedere chiaro nelle mire di Hitler anche dopo dopo le quattro ore di colloquio delirante che ebbe con lui nel settembre 1931. Anche allora concluse che l’esercito concordava sulla meta, ma contava di raggiungerla più lentamente dei nazisti. Per oltre due anni Hammerstein oscillò tra tiepido consenso e netto rifiuto al nazismo. Ancora nel settembre 1930 sosteneva “Tranne che per i tempi troppo rapidi, in fondo Hitler vuole le stesse cose dell’esercito”. Nella primavera del 1932 mutò parere: “Se i nazionalsocialisti prenderanno il potere legalmente, dovrò farmene una ragione. In caso contrario, imbraccerò le armi”. E nell’agosto arrivò a dire “Ora posso nuovamente dormire sonni tranquilli, perché so che adesso, in caso di necessitò, potrò ordinare alla truppe di sparare sui nazisti. Ora nell’esercito c’è una rabbia straordinaria conte o i nazisti”.
Nondimeno, argomenta Enzensberger, Hammerstein aveva considerato la partecipazione dei nazionalsocialisti al governo come il male minore, se paragonato al pericolo di una guerra civile. Riteneva che fosse possibile “addomesticare” la loro forza selvaggia. Fu solo quando il presidente Hindenburg minacciò di sollevare dall’incarico l’allora cancelliere Schleicher amico e protettore di Hammerstein, che il generale cominciò a vedere chiaro. Sollecitò dunque il vecchio presidente Hindenburg a non affidare il potere ala caporale austriaco e Hindenburg si affrettò a tranquillizzarlo, ma aveva già la nomina di Hitler in tasca ed era pronto a mandare in congedo i generali ribelli per toglierseli dai piedi.
Pochi giorni dopo l’arrivo del Fuehrer al cancellierato Hammerstein organizzò per lui un ricevimento ufficiale. La storia di Enzensberger comincia proprio con un riferimento a questa cena che sarà poi affrontata a partire da pag. 76. Da qui il destino di Hammerstein comincia a delinearsi. Hitler sostiene il progetto di una guerra di colonizzazione per rimediare alla miseria del Reich, l’allarme del generale aumenta in modo considerevole. Era infatti convinto che la Germania avrebbe perso in caso di conflitto e, più ancora, che i vincitori l’avrebbero divisa in due. Ma soprattutto era sconvolto dalla facilità con la quale i tedeschi avevano abbracciato il fascismo e sembravano al 98% ubriachi Un anno dopo, quando dovette lasciare il suo incarico, l’emozione più forte che provò di amarezza mista a sollievo, con qualche senso di colpa. Dopo tutto, aveva perso più d’una occasione per fermare Hitler.
Libero dall’esercito, Hammerstein continuò a manifestare la sua avversione per il “regime dei pazzi assassini” – e fu vicino al gruppo di generali che il 20 luglio 1944 concretizzò il celebre attentato a Hitler dopo almeno una dozzina di tentativi falliti. È probabile che non ritenesse ancora giunto il momento di passare all’azione, ma questa resta solo una ipotesi. Al tempo dell’attentato Hammerstein era già morto da oltre un anno, stroncato da un carcinoma. Il figlio Kunrat si oppose, a nome della famiglia, al progetto di offrirgli un funerale di Stato. «Adesso che mio padre non può più difendersi, non posso permettere che la sua bara sia coperta da una bandiera con la croce uncinata». Una frase oltremodo audace, considerando che fu pronunciata nell’aprile del 1943, con Hitler ancora saldo al comando.
Kunrat e il fratello Ludwig presero parte alla cospirazione salvandosi per una fortunata serie di circostanze. Anche gli altri figli del generale, a cominciare dalle tre figlie maggiori, comuniste e legate a partner ebrei, si unirono all’opposizione rischiando a più riprese la vita. Eppure non persero tempo per parlare del passato. Nelle parole di Heldur Hammerstein, ultima figlia del generale, «Nessuno di loro voleva essere un eroe, ma non c’erano alternative. Hanno fatto solo ciò che andava fatto».