Non resisto alla tentazione di commentare la frase di un amico – uno scrittore che si occupa anche di ufficio stampa per un editore- e che pochi giorni fa mi ha detto, sconsolato: “È quasi impossibile indurre i giornali a parlare di libri”. Forse avrebbe dovuto aggiungere “di libri che non siano bestseller annunciati o firmati da youtuber”, ma tant’è. Il senso è che i libri sono considerati nella media superflui.
Gran peccato e non solo per chi scrive e ha un libro nuovissimo in promozione, come la sottoscritta. E gran peccato in ogni caso che si rinunci così facilmente alla lettura. “Una casa senza libri è come una pietanza senza sale”, diceva mia madre che nei primi anni 50 comprava i libri a rate da un anziano venditore a domicilio. Eravamo arrivati da poco dall’Ungheria stalinista, con pochissimo denaro e giusto l’essenziale racchiuso una valigia (i profughi d’oggi hanno anche meno, lo ammetto), e se il signor Villani non ci avesse fatto credito (si chiamava così se la memoria non m’inganna) non avremmo potuto permetterci certi bei libri che la mamma pagava risparmiando sulla spesa, vale a dire su qualche forchettata di pasta e mezza fettina di carne.
Parlo dell’importanza dei libri anche ne La guerra di H (Piemme), una storia vera, riferita a una famiglia tedesca negli anni cruciali tra il 1938 e il 1956. Riporto, in particolare, un ricordo del mio protagonista, in fuga verso Colonia nel 1945 dalla zona Est della Germania, destinata al controllo sovietico. I due libri che Mutti, la madre, aveva infilato in uno zaino diventarono un passepartout per entrare nella sovraffollata baracca che serviva da accoglienza per profughi lungo le principali vie di comunicazione di quella povera Germania in rovine. La prima risposta quando bussavano alla porta era sempre: «Andate via, qui non c’è posto», ma bastava che dicessero “Abbiamo dei libri” perché le porte chiuse si aprissero. Garantito l’accesso, una cugina del protagonista cominciava a leggere. E benché non fosse una lettrice professionale, gli occupanti della baracca ascoltavano concentrati, in perfetto silenzio. “Non sembravano lettori abituali” commenta il mio protagonista “ma erano trasfigurati da un piacere che superava quello del riposo e del cibo. A confermare che non si vive di solo pane, ma di parole che nutrono lo spirito”.
Mi pare impossibile che questo piacere sia venuto a mancarci, spazzato via da inflazione, malattie e dalla guerra che imperversa alle porte della nostra Europa.