La rappresentante di una piccola casa editrice: single di 31 anni che ama abiti vintage e smalti per unghie dai colori smaglianti; un libraio vedovo, deluso e deciso a morire alcolizzato; una bambina di 25 mesi che si chiama Maya, già conosce molte parole e sa apprezzare i libri. Sono questi, in ordine di entrata, i protagonisti de La misura della felicità di Gabrielle Zevin (editrice Nord). Le cose si mettono in movimento quando il libraio A. J. Fikry trova la bambina nella libreria che ha aperto in una immaginaria isola del Massachusetts non lontana dal reale Cape Cod, assieme a un biglietto in cui la madre spiega che non può più occuparsi di lei e che l’ha lasciata al libraio perché vuole che cresca in mezzo ai libri. Poco dopo la poveretta si toglie la vita nuotando nelle acque gelide dell’Oceano (il riferimento a Il risveglio di Kate Chopin è evidente). A. J. si trova tanto a suo agio nel ruolo di padre (ovviamente se non fosse così il romanzo morirebbe prima di cominciare), e dopo appena un anno riesce ad adottare la piccola pur essendo single e povero (W l’America). E così possono vivere felici e contenti. Il librario ritrova la voglia di fare e anche la voglia di amare (timidamente e lentamente) la rappresentante di libri single, e la bambina sta bene. In effetti, una libreria è un bel posto per crescere – nel libro viene presentata così:
Islands Books – fornitore di buona letteratura
ad Alice Island dal 1999-
Nessun uomo è un’isola, ogni libro è un mondo.
Su questo canovaccio essenziale Zevin cuce un romanzo accattivante che ha nel cuore l’amore per i libri, e ovviamente pullula di riferimenti letterari e cinematografici, ma non dimentica la vita fatta di amore, tradimenti, illusioni, speranze e morte. Tra gli elementi collaterali: il mistero del padre di Maya; la difficoltà di trovare un brav’uomo (vedi racconto di Flannery O’Connor); la possibilità di trovare l’amore vero in età matura; la scomparsa di un prezioso libro antico, il Tamerlane di Poe; una frode letteraria; gli insuccessi di uno scrittore senza qualità; una fiducia quasi illimitata in Google ma anche il terrore degli e-reader avvertiti come una minaccia al libro cartaceo; e, last but not least, l’amore per i racconti (in particolare quelli di Alice Munroe); l’attenzione per le parole, e tante schede di lettura che A. J. lascia alla figlia, destinata a diventare scrittrice (notevoli quelle su Il diamante grosso come l’hotel Ritz di Francis Scott Fitzgerald e La famosa rana saltatrice della contea di Calaveras di Mark Twain).
Gabrielle Zevin, scrittrice e autrice cinematografica, apprezzata per la sceneggiatura di Conversations with other Women (con Aaron Eckhart e Helena Bonham Carter) ha conquistato i librai indipendenti con questo romanzo, diventato best seller grazie al passaparola. In effetti, tocca più corde con mano felice, e fa riscoprire il gusto della lettura anche ai lettori più stanchi e distratti. Perché, come scrive Zevin: “Leggiamo per sapere che non siamo soli. Leggiamo perché siamo soli. Leggiamo e non ci sentiamo soli. Non ci sentiamo soli”.
L’arte di leggere (e scrivere)
2 Comments
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Grazie Cri: è un libro non scontato con soluzioni interessanti. Secondo me è una bella lettura per un giorno di relax…
Stuzzicante, perché tocca, cito “tante corde” che viene voglia di scoprire.
Grazie Nico per la segnalazione interessante