Telefono al cugino ungherese che da oltre sessant’anni vive a Montreal. Ci sentiamo poco, ci vediamo pochissimo, ma siamo legati da tanti ricordi pieni di tenerezza. Sta bene, e così tutta la sua famiglia. Per ora. L’inciso è d’obbligo perché la seconda ondata della pandemia ha colpito anche il Canada e per qualche ragione il centro dell’infezione è proprio a Montreal. La città è stata divisa in e zone e quella in cui vive lui – un quartiere da sogno con viali ampi, parchi, piscine e palestre – è diventata zona rossa. Gli abitanti possono spostarsi a piedi, ma mi solitario. Non devono incontrare amici e parenti nemmeno al parco o nel corso di passeggiate, pena una multa di 1000 dollari. «Gran brutta cosa» mi dice il cugino, padre e nonno affettuoso. E aggiunge: «Il gelo canadese peggiorerà la situazione. Fin qui ho potuto lavorare nel mio giardino, curando pomodori, insalata e fiori, ma presto arriverà la neve e al pensiero di chiudermi in casa comincio già a stare male». Il Canada – popolazione 38 milioni scarsi – sta registrando circa un aumento di circa 1000 casi di Covid al giorno. Una enormità, secondo il cugino. Che lamenta il calvario della figlia, professoressa di inglese in un liceo del centro, costretta a 3 ore di autobus e metro per raggiungere la sua scuola dalla periferia in cui abita. «Il pericolo è dovunque, visto il gran numero di asintomatici» dice mio cugino. «Ormai viviamo a porte sbarrate» aggiunge. Parole che mi fanno rabbrividire.