Il brodo è pronto, le verdure sono cotte, alle faraone penseranno i figli, tra un po’ vado a ritirare il panettone gastronomico da farcire – chissà se è una buona idea – e mentre penso all’ennesima lista delle cose da comprare e fare, perché sembra che le incombenze non finiscano mai, mi vengono in mente altri natali, altri sapori, altre speranze.
Il primo Natale con il nostro primogenito che aveva allora dieci mesi. Un biondino sorridente e curioso con una gran voglia di toccare, vedere, capire. Ricordo la sua meraviglia per l’albero pieno di luci, e sotto, i regali per lui da spacchettare.
L’ultimo Natale con mia madre – e ancora mi chiedo se l’ho coccolata abbastanza, se sono stata troppo impaziente. Se le ho detto quanto le volevo bene.
E più indietro ancora, molto più indietro, l’ultimo Natale in Ungheria, una tavolata di parenti nella nostra vecchia casa. Il tavolo era messo in diagonale perché altrimenti non avrebbe avuto abbastanza posto, e mi pareva immenso – eppure eravamo solo in dodici, roba che oggi mi fa sorridere se penso ai sedici posto che allestirò stasera. Il profumo di pino che emanava da un albero gigantesco. I profumi degli arrosti e dei dolciumi. Il sapore del vino – un solo sorso era bastato per stordirmi. Le risate. Il senso assoluto di protezione e di benessere. Ricordi a sprazzi, con nostalgia. Ma anche con la speranza di trasmettere a figli e nipoti qualcosa dell’affetto che ho ricevuto. L’interesse. La pazienza. Il sogno.
Ricevere e dare, perché questo chiede la ruota della vita. E questo auguro a tutti.